Un giorno ho visto Spalletti disporre i cavalletti in studio in modo diverso. Gli ho domandato il motivo. Mi ha risposto che lavorava alla mostra per la galleria di Lia Rumma a Napoli. Ha voluto che lo spazio fosse vuotato e che il pavimento fosse lavato. Lo osservavo passeggiare nello studio in cerca di una luce, di un’ombra, come per trovare un’immagine per poi liberarsene un attimo dopo. La geometria dello studio poco a poco veniva scomposta dai tagli ordinati dei cavalletti. Ho sentito che aveva già precisato un percorso ma non riuscivo ancora a comprenderlo. Spalletti prepara le tavole meticolosamente, il retro viene coperto perchè non ama le sbavature. Dipinge tenendo le tavole in orizzontale, mi spiega che in questo modo la pasta di colore si stende meglio: “il colore si stende, asciuga, ispessisce, riposa”. L’impasto di colore viene dato sulle tavole, quasi alla stessa ora, per dieci o quindici giorni, fino ad ottenere uno spessore che non consente di capire se “il colore dalla superficie si muove verso l’interno del quadro o se dall’interno si muove verso l’esterno”. I tempi di essiccazione determinano quella leggera trama che traspare sulla superficie. Su quei cavalletti ha cominciato a posizionare le tavole, di diverso formato, ciascuna preparata con una cornice diversa, alcune rastremate, altre a sbalzo, altre ancora sottili su un lato e più spesse sull’altro. Ai miei occhi sfuggiva il disegno complessivo. Così Spalletti ha iniziato a definire i primi colori, uno dopo l’altro, ed a stenderli, uno dopo l’altro. Quando prepara l’impasto di colore gli abiti non vengono toccati dalla vernice, i gesti sono meditati, il dosaggio è sapiente. I primi colori erano tenui, un rosa impalpabile, un azzurro acquatico, seguiva un rosso porpora, poi il grigio che “meglio di tutti gli altri colori riesce ad accogliere”, infine il bianco sull’idea verticale della colonna e sulla pietra di alabastro tinta solo per metà. I colori però non erano ancora leggibili, soltanto dopo l’abrasione, quando i pigmenti si rompono e si distribuiscono come polvere di colore sul quadro, il bianco del gesso contenuto nell’impasto li fa vibrare. Quando d’improvviso i colori si sono rivelati nel loro definitivo cromatismo, Spalletti mi ha guardato accennando un sorriso: “d’incanto l’incanto di aver trovato una foglia di acanto”. Sulle cornici andava poi ad adagiarsi il luccichio della foglia d’oro o la rotondità della pasta d’argento. Le tavole, distese, una di fianco all’altra, lasciavano già intuire la loro ragione, poi, una volta appoggiate sulla parete, una dietro l’altra, d’improvviso si sono manifestate in tutta la loro presenza. L’andamento delle cornici imprimeva il movimento, l’oro andava a riflettersi sul muro, il colore viaggiava su di esse. In quel momento, come in una apparizione, tutto si è svelato. Ciò che prima non riuscivo a cogliere era lì di fronte a me come un tutt’uno. E’ stato soltanto allora che Spalletti mi ha detto che il suo desiderio era quello di far correre i colori lungo le pareti della galleria “come a dipingere un solo quadro”.
Azzurra Ricci